IL CONCORSO NAZIONALE
Teatro Zandonai
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Daniel ha tutte le intenzioni di celebrare per suo padre Philip un degno funerale. La famiglia e gli amici più cari si riuniscono così, per dare l’estremo saluto al defunto. Mantenere un’atmosfera civile, però, si rivela compito piuttosto arduo: Robert, famoso scrittore e fratello di Daniel, preso dalla sua carriera e dalla sua vita agiata, trascura da sempre la famiglia di origine ma, il giorno delle esequie, non perde occasione per ricoprire il ruolo di “star” della situazione e attirare tutte le attenzioni su di sé innervosendo il fratello. Come se non bastasse, Daniel si ritrova a dover gestire in maniera discreta (c’è pure sempre un funerale da celebrare), tutta una serie di episodi imbarazzanti che vedono coinvolti i vari membri della famiglia, trasformando così un giorno di lutto in un assurdo susseguirsi di equivoci e paradossi. E questo è nulla rispetto al segreto celato da Carl, il misterioso uomo col turbante intervenuto alla funzione ma che nessuno sembra conoscere…
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Attorno al denaro ruota l’intera vicenda, in un balletto popolato da strani e bizzarri personaggi, alcuni dai nomi favolosamente animaleschi, ingordi e astuti, ma alla fine tutti perdenti. Questo è Volpone, dove la farsa sfiora la tragedia e la beffa si tinge di inumana cattiveria. Si ride, si gioca ad essere crudeli, si sghignazza, ci si traveste e ci si inganna per restare alla fine angosciati di fronte al precipizio in cui può cadere una persona che si rende schiava della sua avidità, ossessionata dalla sete di fare quattrini. Una terribile buffonata in cui si descrive una società che – ieri come oggi – ha posto al centro della vita il “Dio Denaro” con l’illusione che con la ricchezza si possa ottenere tutto. Volpone, vecchio gentiluomo veneziano, spalleggiato dal subdolo servo Mosca, si finge moribondo per mungere denaro e favori da un manipolo di clienti sciocchi, avidi e rapaci, che trafficano nella famelica speranza di ottenere la sua eredità. Il finale smaschera e punisce ingannatori e ingannati, ribadendo l’immagine di un mondo dove tutti sono colpevoli, e tutti dannati. L’intreccio si fonda sulla menzogna e l’uso sistematico di travestimenti, così da far risultare i personaggi soltanto caricature.
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Non sono donne pettegole o leggere, tutt’altro, sono invece donne per bene, oneste e sincere che, provocate, decidono di divertirsi alle spalle di chi pensa a sua volta di approfittare di loro, ovvero Sir John Falstaff. In una Venezia di fine 1600 la tranquilla routine di famiglie borghesi ricche e annoiate viene scossa da due missive amorose che il nostro ardente cavaliere, Sir John per l’appunto, invia ad Alice e Margherita, irreprensibili mogli di due ricchi signori veneziani. Sono due donne virtuose, amiche, che provengono da famiglie con profonde differenze filosofiche sulla vita, sui rapporti tra uomo e donna e sulla libertà. Le due signore, stuzzicate da Falstaff, abbandonano ben presto lo sdegno di una proposta così sfacciata per dedicarsi, con l’aiuto di Comare Faina, ad una serie di burle e prese in giro ai danni del malcapitato “seduttore”. Tra esilaranti tranelli e vere e proprie imboscate riuscirà il nostro eroe Sir John Falstaff a concupire Alice e Margherita? Oppure questo vecchio tronfio fanfarone prenderà una bella lezione?
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“… anche vinto, il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare che l’ha sparso. Guardare certi morti è umiliante; al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione”. Questo pensiero di Cesare Pavese è stato la guida che ha condotto il lavoro della compagnia su I Persiani: mettersi dalla parte del vinto, di colui che non avrebbe avuto voce nella narrazione, collocarlo sul palco e porre il vincitore del conflitto seduto nella parte assegnata al pubblico. Quest’opera teatrale è la più antica che ci è pervenuta ed è l’unica del teatro greco ad avere argomento non mitico ma storico. Narra infatti della battaglia di Salamina (480 a.C.), tra Greci e Persiani, a cui l’autore stesso aveva partecipato. Eschilo ci parla per la prima volta dello scontro tra Asia e Europa, tra dittatura e democrazia, ci parla del mancato rispetto della natura e della potenza dell’intelletto che vince sulla forza bruta. Sono tematiche drammaturgicamente dirompenti ed emozionanti che si presentano a noi con sconcertante modernità. L’intento di avvicinare al nostro quotidiano un mondo tanto lontano, ci induce a riflettere, ad interrogarci sui mali che ancora albergano nell’animo umano.
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Questa è una storia d’amore al contrario: un uomo e una donna dopo sei anni di matrimonio decidono di separarsi… Da questo momento una serie di gag irresistibili accompagnano i momenti classici del distacco: la separazione dei beni, il cambio di casa, l’annuncio ai parenti e agli amici, le reciproche nuove conquiste e via via, in un crescendo, si arriva ad un finale che è un colpo di scena inaspettato. I due personaggi sono da soli sul palcoscenico, pochi e semplici elementi scenici li trasportato da un luogo ad un altro, altri personaggi entrano nel gioco, ma non li vediamo, solo attraverso il dialogo con i due protagonisti diventano concreti: tutto è in un rincorrersi di scene comiche, spesso surreali, ma così vere come fossero tasselli di un puzzle che alla fine crea una sola immagine: “la storia di una vita”.